Con sentenza del 4 ottobre 2024 relativa al caso C-438/23, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea affronta una questione rilevante per chi si occupa di comunicazione nel settore alimentare, in particolare per quanto riguarda gli alimenti a base di proteine vegetali.
La controversia ruota attorno all’interpretazione del Regolamento UE n. 1169/2011 che disciplina l’informazione dei consumatori sui prodotti alimentari, e il suo impatto sull’uso di denominazioni tradizionalmente riservate a prodotti di origine animale (come “burger”, “bistecca”, “salsiccia”, ecc.) per promuovere e commercializzare prodotti a base di proteine vegetali.
Il contesto normativo
La normativa europea sul marketing e l’etichettatura dei prodotti alimentari prevede che i consumatori debbano essere informati in modo chiaro, corretto e non ingannevole. In particolare, l’art. 7 del Regolamento n. 1169/2011 stabilisce che le informazioni sugli alimenti non devono fuorviare i consumatori riguardo alla natura, identità o composizione dei prodotti. L’art. 17, inoltre, regola l’uso delle denominazioni legali e dei nomi descrittivi per garantire una corretta identificazione dei prodotti alimentari.
In Francia, il Décret n. 2022-947 del 29 giugno 2022 ha vietato l’uso di alcune denominazioni tipicamente associate a prodotti a base di carne, per descrivere alimenti contenenti proteine vegetali. La normativa francese è stata quindi contestata da società ed enti del settore alimentare, come Beyond Meat Inc. e alcuni organismi e associazioni rappresentativi del mondo vegetariano, che ritenevano che tale limitazione fosse in contrasto con il diritto europeo.
In Italia una simile iniziativa legislativa è stata intrapresa con Legge 1° dicembre 2023 n. 172. Tale ultima legge intendeva vietare l’uso, per prodotti trasformati contenenti esclusivamente proteine vegetali, di: «(a) denominazioni legali, usuali e descrittive, riferite alla carne, ad una produzione a base di carne o a prodotti ottenuti in prevalenza da carne; (b) riferimenti alle specie animali o a gruppi di specie animali o a una morfologia animale o un’anatomia animale; (c) terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria; (d) nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali.»
La normativa italiana era peraltro già caratterizzata da criticità applicative in ragione di problemi subentrati nel corso della procedura di notifica della legge alla Commissione Europea che aveva avuto esito negativo per via di vizi procedurali nella stessa procedura di notifica (la normativa europea prevede infatti che, qualora uno Stato membro intenda introdurre leggi che potrebbero creare ostacoli al mercato interno, debba notificare il disegno di legge, prima della sua entrata in vigore, alla Commissione e agli altri Stati membri, sospendendo l’iter legislativo interno perché ne venga valutata la compatibilità con il diritto dell’Unione europea).
Il quesito sottoposto alla Corte
Con specifico riferimento alla normativa francese sopra citata, la Corte di Giustizia è in breve stata chiamata a pronunciarsi sulle seguenti questioni sollevate dal Consiglio di Stato francese:
– Se il Regolamento UE n. 1169/2011 armonizzi espressamente l’uso di denominazioni di prodotti di origine animale per alimenti a base di proteine vegetali, impedendo agli Stati membri di adottare regolamenti nazionali che vietino tali denominazioni.
– Se le disposizioni del citato Regolamento vietino l’imposizione di restrizioni sull’uso di denominazioni non legali come le c.d. denominazioni “descrittive” o “usuali”.
La decisione della Corte
La Corte ha stabilito che gli articoli 7 e 17 del Regolamento n. 1169/2011, insieme alle rilevanti disposizioni dell’allegato VI, parte A, punto 4, armonizzano espressamente la protezione dei consumatori contro il rischio di essere ingannati dall’uso di denominazioni di prodotti di origine animale per promuovere alimenti vegetali. Questo implica che gli Stati membri non possono introdurre norme nazionali che limitino o vietino l’uso di tali denominazioni, a meno che non vi sia un’autorizzazione esplicita a livello comunitario.
Inoltre, la Corte ha precisato che in caso di sostituzione totale delle proteine animali con proteine vegetali, l’etichettatura deve fornire informazioni chiare e non ingannevoli, ma l’uso di nomi descrittivi o usuali non può essere vietato attraverso norme nazionali. Quanto sopra in ragione della necessità di garantire una coerenza normativa nell’Unione Europea ed evitare barriere nel mercato interno.
Conclusioni
La sentenza in commento rappresenta una vittoria significativa per i produttori di alimenti a base di proteine vegetali ed apre alla possibilità di continuare a utilizzare denominazioni usuali riconosciute dai consumatori (“burger”, etc.), a dispetto delle iniziative legislative poste in essere negli scorsi anni volte a scongiurare tale possibilità, come avvenuto in Francia e in Italia.
Resta pur sempre fondamentale assicurarsi che etichettatura e confezione del prodotto rechino nel complesso diciture o informazioni chiare e trasparenti circa l’effettiva composizione del prodotto, onde evitare sanzioni in materia di pubblicità ingannevole.